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Lisbona val bene una rissa – Cap. 3

lisbona-val-bene-una-rissaTerzo capitolo del racconto umoristico di Racconti a puntate!

Leggi il capitolo n. 2

Atterriamo. I passeggeri applaudono. Io non solo applaudo ma con azione rugbistica invado la cabina di pilotaggio e bacio i piloti.

Sì. Bacio.

Sulla bocca.

– Ti è piaciuto? – mi ha chiesto poi un più che interessato Marco.

Siamo arrivati. Lisbona. Ad attenderci troviamo uno stuolo inusitato di lusitani. Cioè, in realtà non stanno aspettando noi. Aspettano la nazionale americana di atletica. Una calca di curiosi tra cui facciamo fatica a farci largo. Usciamo dalla ressa. Ci contiamo. Siamo quattro. Eravamo partiti in cinque.

– Michele dov’è?

Lo cerchiamo con lo sguardo da ogni parte. Non c’è. Sparito. Volatilizzato.

– Va beh, ce ne faremo una ragione … – dice Andrea e si avvia verso un taxi.

Subito dopo sentiamo un boato. È arrivata la nazionale americana di atletica. In mezzo alla nazionale americana di atletica una figura in particolare attrae la nostra attenzione. Ha gli occhiali da sole calati sugli occhi e un cappello in testa. Abbiamo già visto da qualche parte quegli occhiali. E quel cappello. Michele. È Michele. Si è imbucato tra gli atleti americani. Sta firmando autografi.

– Ma cosa sta facendo??? – domando sbigottito.

– Un’intervista a una tv portoghese … – mi risponde un a sua volta allibito Massimo.

Quindici minuti più tardi ci raggiunge. Ride.

– Idea niente male ho avuto! Ho ottenuto il numero di cellulare di almeno venti ragazze – dice, mostrando dei numeri scritti a pennarello sulla metà del suo corpo, braccia, petto, mani,

– … e questo … – dice, mostrando un reggiseno nero di provenienza ignota.

– Una quarta … – constata con ammirazione e competenza Massimo.

 

Mezzora dopo scendiamo dal taxi. Sì, dal taxi. Sì, mi ero ripromesso di spendere poco. Lo so. Sì, potevamo tranquillamente arrivare in pullman. Lo so. Avremmo fatto anche prima, dato che il tassista ha evidentemente optato per un percorso panoramico innalzatassametro che per poco non ci ha portato fuori dai confini della Comunità Europea. Lo so. Ma Andrea si era impuntato. Dovevamo prendere il taxi.

Scendiamo dal taxi e ci guardiamo un po’ intorno. Le caratteristiche facciate degli edifici di Lisbona. Con le piastrelle di ceramica. Ci guardiamo intorno. Una cosa poetica. Un’atmosfera magica.

– Sembra d’essere in un gabinetto gigante – dice Michele, il più grande rovinaatmosfere mai esistito.

Siamo in una tipica via di Lisbona. Su una collinetta ammazzapolpacci. Solcata dalle rotaie del tram. Le facciate piastrellate.

Ci guardiamo un po’ intorno.

Alla ricerca del portone giusto.

Vediamo lungo il marciapiede corricchiare un grazioso cagnolino. Si ferma davanti al numero 52, si acquatta, deposita con una certa eleganza il pasto appena digerito sul marciapiede, scalcia a vuoto e riparte per la sua strada, la lingua fuori dalla bocca, sorridente.

Controlliamo l’indirizzo.

Numero 52.

Preciso.

Non poteva essere altrimenti.

Ci apre la padrona di casa. Secondo quanto scritto su internet, parla inglese. A gesti, forse. Reagisce al nostro “good afternoon”, dicendo “I don’t speak italian”, le prime nonché ultime parole che proferisce in un inglese stentato. Proviamo a capire quanto cerca di dirci. Niente. Non capiamo niente. Per rendere l’idea, dalla stessa frase gesticolante, Andrea capisce che dobbiamo lasciare l’appartamento libero la mattina alle dieci, Marco che col cazzo che ci dà degli asciugamani puliti, Samuele che non possiamo portare la chiave con noi, Michele che gli italiani son tutti figli di troia, Massimo che lo scaldabagno è già acceso, io che ci sta facendo una supercazzola. Ci guardiamo smarriti.

Dice un’ultima cosa e se ne va.

Ci guardiamo.

Stavolta abbiamo capito.

Tutti e cinque.

Ci ha mandato a cagare.

Inutile dire che la reggia berlusconiana che appariva nelle foto su internet è un guazzabuglio di microscopiche stanze l’una accatastata sull’altra. Ci spartiamo le camere. Riesco fortunatamente ad evitare di dividere la stanza con Andrea, detto ‘il russo’ non per improbabili origini sovietiche (è nato a Palaia e il posto più ad est in cui è stato in vita sua è Ricasoli), bensì per la propensione ad omaggiare le dolci notti estive con versi degni di un lupo mannaro (secondo la leggenda, il bellissimo “Il maiale che cantava alla luna” di Jeffrey Moussaieff Masson prende ispirazione dalla storia di Andrea). Non riesco però ad evitare Marco, detto “il saponetta”, gran toccaculi omosex a tradimento e temibile compagno di doccia alle partite di calcetto.

Non saranno notti tranquille.

Posiamo i bagagli. Facciamo due chiamate a casa. Samuele racconta estasiato dell’atmosfera portoghese. Andrea racconta estasiato del panorama di cui si godeva dall’aereo. Massimo racconta estasiato di cosa faremo quest’oggi. Michele racconta estasiato del cane che ci ha cagato sul portone. Un segno, dice.

… Continua

Filed Under: Racconti di viaggio Tagged With: Portogallo, Racconto umoristico

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